Una domenica mattina trascorsa con una passeggiata letteraria a via Veneto, strada eternamente iconica della Dolce Vita, quando mancano pochi giorni alla Festa del cinema di Roma 2024. Un’esperienza interessante e stimolante, su invito di un nuovo amico, il giornalista e autore Francesco Acampora, che mi ha gentilmente trovato un posto nel gruppo guidato dal collega Fabrizio Falconi, appassionato e appassionante narratore e studioso di Roma. L’appuntamento alle ore 10:30 alla Fontana delle Api ha dato il via alla gita che vi racconto oggi in questo post, ripercorrendone le tappe principali, per stimolare ulteriori modi di guardare e vivere la città. In particolare, via Veneto, dove la presenza dell’Ambasciata americana spesso fagocita tutto il resto. Almeno nel mio caso, infatti, partecipando al tour, mi sono accorta di non essermi mai veramente soffermata a carpire indizi ed elementi che appartenessero ad altri edifici, le cui storie e architetture, sono di assoluto riguardo.
Da quanto appreso durante la passeggiata letteraria a via Veneto, innanzitutto la fontana decorata con delle api e una grande conchiglia è una riproduzione di un’opera di Gian Lorenzo Bernini, un abbeveratoio per i passanti e i loro cavalli, probabilmente, che era associato, come era di usi e costumi al tempo, a quella ben più prestigiosa e imponente della piazza attigua intitolata ai Barberini. Alzando gli occhi, ecco invece apparire il palazzo di Gino Coppedè, anche detto “parlante” per le tante iscrizioni che riporta la facciata della struttura firmata dal progettista celebre per il quartiere romano tra Salario e Nomentano. Un’opera che risale al 1927 (si pensa quindi sia stata anche l’ultima da egli realizzata, essendo lo stesso deceduto proprio in quell’anno).
Proseguendo verso Porta Pinciana, si viene a sapere poi che via Veneto fu inizialmente intitolata alla regione del Nordest (come la vicina via Lombardia) e solo in un secondo momento alla fortunata battaglia del 1918, con la rapida avanzata italiana su Trento e Trieste che, nel corso della Prima guerra mondiale, provocò il crollo definitivo dell’Impero Austro-Ungarico.
Al convento dei cappuccini, dove si trova la ben nota e visitatissima cripta con i teschi, vale la pena entrare altresì per osservare un prezioso dipinto di Guido Reni, ma anche per stupirsi dinanzi alla ricchezza di elementi decorativi della cappella di Bernini, situata a destra dell’altare, dove trova sepoltura il cardinale cappuccino Antonio Barberini (fratello di papa Urbano VIII).
Risalendo la celebre strada della Dolce Vita, si incontra la sconfinata area dominata dall’Ambasciata americana, che un tempo era collegata nei suoi blocchi da una vera e propria ferrovia per consentire ai suoi ospiti e funzionari di spostarsi agevolmente. Sono gli spazi dell’ex Palazzo Margherita, la residenza di Margherita di Savoia durante il suo soggiorno a Roma. La regina consorte di Umberto I aprì le porte, durante la Prima guerra mondiale, per dare rifugio e conforto ai feriti che non riuscivano a trovare ospitalità nella vicina sede della Croce rossa.
E se dall’altra parte della strada si susseguono altri edifici firmati dal medesimo architetto, Gaetano Koch, oggi sedi di hotel di brand internazionali, nel segno di un nuovo rinascimento che sta vivendo la via simbolo della Dolce Vita, sul lato destro si incontra un altro indirizzo dell’hôtellerie di lusso: l’Excelsior, sede, durante l’occupazione nazista di Roma, del generale Kurt Mälzer. Poco oltre, vicino Porta Pinciana, l’attuale Hotel Flora nello stesso periodo fu invece il quartier generale della Wehrmacht, le forze armate tedesche.
Il glamour della Dolce Vita viene evocato dalla vitalità dell’Harry’s Bar, che non ha niente a che vedere con l’omonimo locale di Venezia e che è stato di recente set delle ultime due puntate di Emily in Paris, la serie Netflix girata a Roma che vi racconto in questo post. Il posto frequentato dai divi di Hollywood già negli anni ’50, come Audrey Hepburn e Anita Eckberg, ma anche da talenti nostrani di fama internazionale come Marcello Mastroianni fu aperto, per la prima volta, da un’americana di San Francisco, che lo chiamò infatti The Golden Gate, come il fotografatissimo ponte rosso di ferro della metropoli californiana.
Solo uno delle tante insegne paparazzate nei decenni passati a via Veneto per immortalare volti noti del cinema protagonisti del gossip. Il Café de Paris, aperto lungo la strada per portare in città l’esprit della Ville Lumière, amato dal regista Federico Fellini (la cui madre era romana da sette generazioni) e da habitué come Gregory Peck, Frank Sinatra e Walter Chiari, è ormai da anni chiuso dopo un’inchiesta giudiziaria. Ma è qui che nacque la cronaca rosa, con un articolo scritto e pubblicato in prima pagina dal quotidiano Il Giorno riguardante re Faruk durante il suo esilio dorato a Roma e fotografato da Tazio Secchiaroli. Di fronte, continua invece la sua avventura il Doney, aperto nella Capitale del cinema dopo la gloria degli anni di Firenze e salotto da sempre del jet set internazionale.