La cucina persiana del ristorante Tanur a Roma: esperienza al top
A cena al ristorante Tanur per provare la cucina dell’Antica Persia, oggi Iran. Da sempre amo viaggiare con i sapori, oltre che con gli aerei. Quello che ricerco quando sono a tavola per provare gastronomie diverse da quelle italiane, è un ambiente che possa traghettarmi, anche solo per il tempo della permanenza al ristorante, nelle atmosfere tipiche e autentiche del luogo lontano di cui sto per assaggiare alcune ricette della tradizione. Un elemento che ho ritrovato da Tanur, situato a Roma a via Chiana 54, riconoscibile dalla strada dalle romantiche lucine che illuminano l’ingresso. Ad attendere i clienti c’è un’affascinante donna iraniana del Nord, la bellissima titolare Helly, in lingua persiana “luna crescente”, che con il suo charme orchestra il rituale di una cena impeccabile. Quando me la sono ritrovata di fronte, è stato naturale voler sapere il più possibile di questo progetto culinario ai Parioli, aperto 12 anni fa come attività d’impresa alternativa all’altra dedicata ai tappeti persiani, come si evince da una curiosa mappa che li ritrae, a seconda della regione di provenienza, all’interno del menu. Una volta terminata la food experience, non è difficile credere che in questo ristorante un giorno di qualche tempo fa sia arrivato persino Al-Thani, l’emiro del Qatar, il quale poi ha invitato la signora Helly a raggiungere la famiglia reale per qualche giorno di vacanza nel suo Paese. Christian De Sica con il figlio Brando anche è un cliente, considera l’abbacchio di Tanur (neozelandese) <<il migliore di Roma>>.
Ma ieri sera non c’era, quindi dovrò tornare ad assaggiarlo. Anche perché mi aveva già incuriosito leggendo nel menu di Aisi, il ristorante georgiano che si trova alla Garbatella e di cui vi racconterò in un altro post. Per la cena da Tanur mi sono fata guidare dalla titolare, d’accordo con Alice Riga de Le strade di Roma che mi ha accompagnato. Ah, che serata! Lei, architetto, e io, giornalista di viaggi, a banchettare come due persiane d’altri tempi, tra sogni a occhi aperti aspettando una crociera sul Nilo verso Luxor in Egitto a bordo di un’imbarcazione tradizionale di lusso; o, ancora, una tre giorni glamour e frenetica alla Design Week di Milano nel 2025.
La cena al ristorante Tanur portata dopo portata
Il primo impatto con le tradizioni della tavola persiana è stato con il Doogh, una bevanda dissetante proposta in un calice e a base di yogurt naturale denso, acqua frizzante, menta e sale, ornato di petali di rosa edibile, che in Iran si sorseggia accompagnata alle grigliate (da 6 a 10 euro a seconda che si ordini da 50 cl o da 100). La tavola si è impreziosita di profumi e colori, anche grazie ai deliziosi piattini utilizzati, quando sono sopraggiunti gli antipasti, da condividere con curiosità tra assaggi di: Zeytun Parvardeh (6 euro), olive verdi con aglio, noci, menta, melassa di melograno, melograno e semi di angelica; Mast Musir (5 euro), l’immancabile crema di yogurt greco, con aglio persiano; Kashk Bademjan (7 euro), una crema di melanzane, noci, menta e Kashk (a base di yogurt fermentato e di grano o grano saraceno, il tutto finemente macinato ed essiccato); Mirza Ghasemi (7 euro), una crema di melanzane affumicate, pomodoro, zafferano e aglio; Kuku Kadu, la frittata persiana di zucchine e carote, cotta al forno e saporitissima con l’aggiunta di curcuma, molto salutare e utlizzatissima nelle ricette di cucina persiana; Kufteh (8 euro), una tenera polpetta di manzo, riso basmati, erbe persiane, pomodoro e cuore di prugna, originario dell’Azerbaijan. Il tutto da spalmare sul sangak, un pane dell’Iran, servito a fettine triangolari e preparato a vista dal bancone che affaccia sulla saletta ristorante. Il nome del ristorante, Tanur, significa proprio “dove si fa il pane”.
La sensazione di sazietà, finito il giro di giostra gastronomica degli antipasti, si era fatta già manifesta, ma la gola ha avuto la meglio e così abbiamo assaggiato altre portate, tutte da mangiare, come si usa fare in Iran, al cucchiaio. In particolare, il Khoresht Helly, un filetto di pollo al curry con zucchine e riso basmati al vapore, e un tocco di latte di cocco, spezie e panna; il Joojeh Torsh, un filetto di pollo marinato in melograno e noci macinate; il Gheymeh Bademjoon, un piatto con cui la titolare ha vinto anche una competizione in cui si sfidava contro un messicano. Al suo interno si compone di una noce di vitello con stufato di melanzane al pomodoro, lenticchie persiane e riso basmati, profumatissimo grazie a un limone persiano che è delizioso anche da mangiare da solo.
Il rituale del tè al ristorante Tanur
Il momento del tè, scenografico con il rituale del samovar d’argento da cui si versa l’acqua bollente e su cui si mette a bollire una teiera per venti minuti, è attesissimo. Sopraggiunge a fine pasto accompagnato da uno stecco di cristalli di zucchero allo zafferano che si consuma lentamente come una caramella. Nel nostro caso il berlo è stata anche l’occasione per apprendere che le rose iraniane, di ornamento, derivano da Kashan, nel centro del Paese, dove ogni anno si tiene un inebriante festival del sofisticato fiore. Rose che colorano la città e che da millenni vengono utilizzate anche per realizzare la loro acqua, utilizzata nei dolci o come tonico per la pelle. In effetti, quando ero stata in Oman, uno dei souvenir che avevo riportato a casa era proprio il prodotto per la beauty routine, bellissimo nella sua boccetta di vetro che tengo custodita nella mia vetrinetta della sala da bagno (qui trovate il mio racconto di Muscat in Oman ma sul mio blog ci sono tanti post dedicati al mio viaggio nel Paese della Penisola arabica).
Non sono mancati, dulcis in fundo, dei biscottini persiani misti, serviti assieme alla Baclava (6 euro), una pasta sfoglia ripiena di miele, mandorle e pistacchio, leccornie che Tanur consiglia di assaporare con il tè persiano. La cena si è chiusa con una generosa coppa di gelato al pistacchio persiano, con zafferano e rosa. Come si legge nel menu, sembra che le prime tracce di gelato, o qualcosa che gli somigliasse molto, siano state rinvenute proprio nell’antica Persia durante il regno di Ciro il Grande nel 500 a.C. In particolare, si trattava di un ghiaccio addolcito fatto a mo’ di granata, unito a frutta, sapori d’Oriente e vari topping.
Cosa dire della mia esperienza al ristorante Tanur
Sicuramente è da ripetere, mi farò ambasciatrice di questo luogo col passaparola, perché la qualità è ottima, le ricette davvero autentiche, il personale e la titolare originari dell’Iran, che si respira in ogni angolo e décor, anche grazie alla musica tradizionale di sottofondo. Persino la clientela è romana ma anche iraniana o di altri Paesi di cultura araba, anche grazie alla cucina che rispetta i dettami Halal. Il prezzo medio di una cena, dove non mancano tante proposte vegetariane e vegane, con un antipasto, un piatto principale e una bevanda è di circa 30-35 euro. Il locale ora che è ancora caldo e si tengono le porte finestre aperte può essere un po’ rumoroso per il passaggio su via Chiana di motorini e automobili, ma posso assicurare che quando si sta a cena coccolati dallo charme del luogo e della proprietaria si dimentica tutto e si entra in un mondo magico ricco di fascino.
L’outfit per il ristorante Tanur
Promossa l’esperienza, quindi, dove anche io e Alice abbiamo voluto dare un contributo in termini di stile, con degli outfit pensati per l’occasione. Il mio kaftano dalle nuance cammello, realizzato artigianalmente in Kenya, abbinato a una borsetta di Gucci nera e a delle scarpe di velluto dello stesso colore, con tacco e una trama color bronzo, è stato un compagno di avventure all’altezza della situazione, valorizzato anche da degli anelli di argento che avevo preso in Oman a Nizwa, rinomata per questo aspetto. Vi mostro il kaftano che ho scovato a Rione Monti in un negozio che si chiama By Valenti, dopo la mia passeggiata letteraria a via Veneto che vi racconto qui.
Tra gli stand dell’atelier di via del Boschetto 134, guidata da una fantastica ragazza australiana, ho intercettato questo kaftano che aveva attorno un morbidissimo collo di volpe color miele. Accanto c’erano poi degli altri pezzi etnici, come un indimenticabile cappotto cammello con una cinta dalla trama nera, che ricorda un po’ lo stile dei guerrieri cinesi dell’Impero. Spero di tornarci e di trovarlo, magari per una nuova avventura alla scoperta dell’Estremo oriente stavolta.